Onorevoli Colleghi! - La legge 23 agosto 1993, n. 352, reca «Norme quadro in materia di raccolta e commercializzazione dei funghi epigei freschi e conservati», ed è stata modificata dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 luglio 1995, n. 376, concernente la disciplina della raccolta e della commercializzazione dei funghi epigei freschi e conservati, che prevede, all'articolo 3, comma 1, che: «la vendita dei funghi freschi spontanei destinati al dettaglio è consentita, previa certificazione di avvenuto controllo da parte dell'azienda USL, secondo le modalità previste dalle autorità regionali e dalle province autonome di Trento e Bolzano». All'articolo 1, comma 2, del medesimo regolamento, si stabilisce che: «Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano istituiscono ed organizzano, nell'ambito delle aziende USL, uno o più centri di controllo micologico pubblico (ispettorati micologici)» ai quali è demandato il compito della vigilanza e della certificazione dei funghi freschi spontanei (articolo 2, comma 2, articolo 3, articolo 4, comma 3, e articolo 11 del citato regolamento).
      In base a quanto riportato già è possibile rilevare una anomalia insita alla norma stessa; infatti si delinea un possibile conflitto di interessi o quanto meno una situazione di imbarazzo nell'ambito del personale di vigilanza ed ispezione delle aziende sanitarie locali (ASL) demandata al servizio di ispettorato micologico. Lo stesso individuo che provvede alla certificazione dei funghi epigei spontanei freschi potrebbe, per assurdo, trovarsi durante l'esercizio delle sue funzioni di vigilanza

 

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ed ispezione ad effettuare un controllo sul proprio operato. Il problema nasce dal fatto che la normativa vigente demanda esclusivamente al solo personale di vigilanza delle ASL (ispettorati micologici), la certificazione dei funghi epigei spontanei freschi destinati al dettaglio.
      L'articolo 1, comma 1, del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 376 del 1995 recita: «Il Ministero della sanità stabilisce, con proprio decreto, entro il 31 dicembre 1996, i criteri per il rilascio dell'attestato di micologo e le relative modalità». In attuazione della norma è stato emanato il regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 29 novembre 1996, n. 686, concernente criteri e modalità per il rilascio dell'attestato di micologo. Tale regolamento fissa requisiti, qualità professionali e di formazione del micologo eguali sia per il micologo che opera nelle strutture pubbliche che per il micologo privato. Si ricorda inoltre che, sia a livello regionale, sia a livello nazionale, esiste un registro dei micologi nel quale tutti i micologi abilitati al riconoscimento e al controllo dei funghi epigei devono essere registrati per poter esercitare la professione (sia privata che pubblica). Risulta evidente che le conoscenze, la capacità e la riconoscibilità di un micologo privato sono le stesse di un micologo operante negli ispettorati micologici delle aziende ASL. Si ricorda inoltre che il micologo privato, in base a quanto stabilito dall'articolo 6 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 376 del 1995 risulta, in base alla normativa vigente, autorizzato al riconoscimento e alla certificazione dei funghi confezionati, secchi ed in conserve.
      In conseguenza di quanto esposto, appare evidente che per una maggiore garanzia in termini di sicurezza sanitaria sull'alimento «fungo» e anche alla luce della normativa in tema di autocontrollo sulla sicurezza ed igiene degli alimenti (decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 155), sarebbe auspicabile che:

          a) ai micologi degli ispettorati micologici delle ASL siano demandati i compiti della vigilanza sulla commercializzazione, del riconoscimento gratuito nei confronti dei cittadini raccoglitori per autoconsumo, dell'assistenza ai servizi di pronto soccorso in caso di sospetta intossicazione da funghi, nonché della realizzazione di corsi di formazione, informazione, e così via;

          b) ai micologi privati, libero professionisti, siano demandati gli aspetti riguardanti le certificazioni commerciali.

      Si porta ad ulteriore chiarimento di quanto esposto un paragone inerente il settore alimentare. Allo stato attuale è come se il tecnico della prevenzione della ASL chiamato a verificare un piano di autocontrollo aziendale (decreto legislativo n. 155 del 1997) di un grossista di prodotti ortofrutticoli fosse anche il redattore del medesimo piano di autocontrollo aziendale.
      Il quadro diventa ancora più «fosco» andando a prendere in considerazione le leggi regionali previste dall'articolo 1 della legge n. 352 del 1993. Prendendo, ad esempio, la legge della regione Toscana (legge regionale n. 16 del 1999, come modificata dalla legge regionale n. 68 del 1999, articolo 19, comma 5, lettera e), ma anche la legge della regione Emilia-Romagna (legge regionale n. 6 del 1996, articolo 17) e la legge della regione Liguria (legge regionale n. 27 del 1991, e successive modificazioni), si delinea una situazione in cui micologi delle ASL, tramite apposite convenzioni tra la stessa azienda e soggetti privati, devono effettuare certificazioni commerciali a pagamento a favore di ditte sulle quali, contemporaneamente, devono anche effettuare attività di vigilanza igienico-sanitaria, con tutto quanto, potenzialmente, ne può conseguire (prescrizioni, sanzioni, e via dicendo). Ribadisco che sarebbe molto utile e corretto che le due attività principali fossero demandate a micologi diversi: la vigilanza ovviamente ai micologi delle ASL e le certificazioni commerciali ai micologi privati liberi professionisti.
      Mi sembra importante evidenziare, inoltre, una grave mancanza in materia di tutela sanitaria che deriva dal disposto, per

 

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esempio, della citata legge regionale della Toscana. Con delibera regionale n. 939 del 1999 si indica come modalità di certificazione quella a campione, per cui su, ad esempio, una partita di 500 chilogrammi di funghi freschi allo stato sfuso, il controllo va fatto su un numero minimo di dieci campioni elementari da 3 chilogrammi ciascuno, per un totale di 30 chilogrammi (30 chilogrammi controllati su 500 chilogrammi commercializzati).
      Mi permetto di ricordare che anche solo circa 40-50 grammi di Amanita phalloides possono essere letali per una persona adulta (anche solo 20-30 grammi per un bambino).
      In base a quest'ultima considerazione ritengo anche valida l'ipotesi di rendere obbligatoria la vendita dei funghi solo allo stato confezionato, dato l'alto rischio sanitario (anche se potenziale) legato al consumo dei funghi. Questo darebbe sicuramente maggiori garanzie, sotto l'aspetto sanitario, a tutta la filiera commerciale dei funghi, ed attribuirebbe certezza nelle responsabilità sul prodotto commercializzato.
      Da quanto esposto, si può prendere spunto per una ulteriore importantissima osservazione. Ritengo che, mentre la regolamentazione sulla raccolta dei funghi è auspicabile che sia definita a livello regionale, al contrario è assurdo che la regolamentazione della commercializzazione sia, così com'è ora, demandata alle regioni. A giustificazione di tale affermazione, si riporta un esempio pratico: il fungo fresco, per essere commercializzato deve essere certificato secondo modalità stabilite dalla regione in cui ha sede la ditta commercializzatrice e così avviene anche per il fungo fresco preconfezionato. Questo implica che se io produco, secondo la normativa lombarda, delle confezioni di funghi freschi «preconfezionati» in Lombardia e li vendo in Toscana, immetto nel territorio della Toscana una confezione che non rispetta le indicazioni prescritte dalle norme toscane sulla commercializzazione dei funghi freschi preconfezionati. Aggiungo che, mentre in Toscana per vendere funghi freschi preconfezionati sulle stesse confezioni deve obbligatoriamente comparire il sigillo di chiusura (etichetta adesiva sulla chiusura) di un micologo dell'ASL, in Lombardia la certificazione applicata alla confezione può essere quella del micologo aziendale (privato).
      La considerazione più deprimente che deriva dal quadro delineato è la seguente: se un tecnico della prevenzione, addetto alla vigilanza igienico-sanitaria, si reca a fare un controllo da un grossista di funghi e trova sei partite di funghi provenienti da sei regioni diverse, per effettuare un corretto controllo sulle modalità di commercializzazione (di un unico prodotto ma di origine geografica diversa) dovrà essere a conoscenza di ben sei leggi regionali diverse e delle collegate delibere esplicative regionali, direttive regionali, regolamenti attuativi regionali, eccetera. Questo può facilmente essere tradotto in una inattuabilità del controllo sanitario sulla commercializzazione dei funghi freschi in Italia.
      Ricordo, altresì, che siamo in un contesto storico in cui l'Italia sta facendo notevoli sforzi legiferativi per armonizzare la propria normativa a quella europea ed invece, in stridente contrasto con tale politica nazionale, non si riesce ad armonizzare le molteplici leggi regionali che regolano la commercializzazione di tali prodotti nel Paese.
      Alla luce di quanto rilevato si presenta la proposta di legge, recante la legge-quadro in materia, che modifica o abroga la normativa vigente. Non si pretende che la legge sia esaustiva, esprimendo essa, soprattutto, la volontà di fissare concetti normativi generali, sulla base dei quali potranno essere successivamente emanate norme particolari e di carattere tecnico, per la cui adozione si rimanda alla competenza dei tecnici.
 

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